Visitare l’esposizione a Pompei di Mitoraj è entrare nel suo regno, un magnifico laboratorio-cantiere nel quale si resta circondati da volti enigmatici, busti mutilati, giganti feriti in grado di rievocare la fragilità dell’uomo contemporaneo. E’ stato il suo sogno: una grande mostra a Pompei, e ne aveva chiaro anche i luoghi per la sistemazione delle statue».
Mitoraj espone a Pompei non solo i suoi colossi di bronzo, ma anche il corredo intimo della sua storia.
Nato nel 1944… a Oederan, nella Germania nazista, dove suo padre, francese, era prigioniero di guerra, e sua madre, polacca, era stata deportata, Igor tenne vivi a lungo quei ricordi e l’infanzia vissuta in Polonia, sotto il regime sovietico. Una malinconia, a tratti una sofferenza, che si rintraccia nelle sue opere su cui plana l’emozione travolgente generata dall’arte classica. «Che si tratti di opere scolpite nel marmo di Carrara o fuse nel bronzo, esse mostrano quanto l’antico mondo mediterraneo nutrisse intensamente la sua inventiva», afferma lo storico dell’arte Richard Cork. Ammirando, nel Foro di Pompei, l’Ikaro giacente al suolo, braccia e gambe recise, ali spezzate, è possibile immaginare quanto i frammenti di quel suo passato, doloroso e drammatico, siano sopravvissuti. Egli descrive se stesso e l’uomo contemporaneo come un eroe che, a causa di quelle tragedie, non riuscirà più a recuperare la sua antica forza e la leggerezza di volare.
«Gli imponenti personaggi di bronzo – racconta il soprintendente Osanna in una sua intervista – convivono con le architetture più famose dell’antica Pompei, emergendo come sogni dalle rovine».
Simboli muti e iconici, le opere di Mitoraj ricordano a tutti noi il valore profondo della classicità nel mondo contemporaneo. Ancora Stefano Contini, che ha curato l’organizzazione, sintetizza: «Non è stato facile trasportare queste immense opere e collocarle in un luogo così delicato.
Ma la soddisfazione è che ora si parla di questa mostra come la più importante al mondo nel 2016».